I danni da diffamazione possono riguardare la sfera morale, sociale e anche patrimoniale della persona diffamata. Talvolta i danni da diffamazione sono enormi: la persona danneggiata potrebbe perdere amici, il lavoro, persino il coniuge, a causa della lesione della sua reputazione.
Pertanto, è essenziale sapere come riparare i danni da diffamazione – nei limiti del possibile -, come quantificarli e quali rimedi la persona offesa o danneggiata ha a disposizione per ottenere il risarcimento.
La diffamazione come reato dannoso
La diffamazione è un reato previsto dall’art. 595 del codice penale. È integrato da chi offende la reputazione altrui, comunicando con più persone e in assenza della persona offesa.
Il codice penale prevede anche, all’art. 185, che:
«Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento […]»
Ne segue che, se la diffamazione produce dei danni – i quali possono essere o non essere patrimoniali – le persone danneggiato hanno diritto a chiedere il risarcimento. Ogni reato, obbliga il colpevole e le altre persone responsabili a norma del diritto civile a risarcire il danno.
Il danno da diffamazione in ambito civile
Il codice civile dispone, all’art. 2043, che:
«Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.»
La disposizione si riferisce, dunque, a un “danno ingiusto”, il quale non è necessariamente conseguenza di un reato. Ne segue che vi può essere responsabilità civile per danni causati alla reputazione, anche se non è stato integrato il reato di diffamazione.
L’articolo 2059 del codice civile, però, a proposito del tipo di danno risarcibile, precisa che:
«Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge.»
Ora, la legge penale – come si è visto nell’art. 185 c.p. – prevede che il danno non patrimoniale è risarcibile quando esso è conseguente a un reato. Significa ciò che, se l’offesa alla reputazione non arriva a configurare un reato, soltanto il danno patrimoniale è risarcibile?
Sul punto vi è stata una evoluzione della giurisprudenza, la quale oggi ritiene che il riferimento alla “Legge” nell’art. 2059 del codice civile comprende anche la Costituzione. Pertanto, ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale, non è necessaria la sussistenza di un reato. È sufficiente che il fatto illecito abbia cagionato una lesione di valori costituzionali inerenti la persona (come, appunto, la reputazione).
I tipi di danni da diffamazione
Abbiamo visto che è possibile chiedere il risarcimento sia del danno patrimoniale sia non patrimoniale conseguente alla diffamazione.
Il danno patrimoniale
Il danno patrimoniale consiste nel “danno emergente” e nel “lucro cessante”. Il primo corrisponde alla perdita economica che il patrimonio del danneggiato ha subito. Il lucro cessante è, invece, il mancato guadagno che si sarebbe prodotto se il fatto illecito non fosse avvenuto. Ad esempio, se la diffamazione si riferisce alla reputazione professionale di una persona, le dichiarazioni denigratorie potrebbero allontanare potenziali clienti sul punto di ricorrere ai servizi del professionista. In questo caso ci sarebbe un danno patrimoniale consistente in un minor guadagno (lucro cessante).
Il danno non patrimoniale
Il danno non patrimoniale invece consiste nel danno biologico, morale e esistenziale. Secondo la più recente giurisprudenza, queste non sono da intendere come tre “categorie” separate di danno, da risarcire autonomamente. Piuttosto, sono diverse descrizioni di tipologie di danni che rientrano nella stessa voce del danno non patrimoniale.
Il danno non patrimoniale, in particolare nella sua forma di danno “morale”, è quella più frequente nelle ipotesi di diffamazione poiché almeno la sofferenza soggettiva è il danno normale (benché non automatico) cagionato dall’offesa alla reputazione altrui. Ma anche il danno esistenziale è frequente. Quest’ultimo rappresenta il danno alle attività o potenzialità interpersonali, cioè alle relazioni che abbiamo con gli altri, a livello familiare o sociale, o comunque il disagio in relazione al nuovo contesto ambientale venutosi a creare in seguito all’illecito. È distinto dal danno biologico perché non presuppone una lesione psicofisica, nonché dal danno morale perché non è puramente soggettivo.
Come quantificare il risarcimento dei danni da diffamazione?
Il danno patrimoniale sarà liquidato in base alla perdita subita o al mancato guadagno effettivamente dimostrato, che sia conseguenza dell’offesa alla reputazione. Teoricamente, il danno patrimoniale è più facile da quantificare. Tuttavia, nella pratica, la dimostrazione di un preciso danno patrimoniale conseguente alla diffamazione è rara.
Per quanto riguarda invece il danno non patrimoniale, non è possibile ricorrere a criteri precisi per la sua quantificazione esatta. Ciò vale in particolare per il danno morale ed esistenziale. Il giudice dovrà liquidarlo in via equitativa.
Si sono formati indirizzi giurisprudenziali che, nella liquidazione del danno non patrimoniale derivante da diffamazione a mezzo stampa, prendono in considerazione la gravità dell’offesa sulla base di alcuni criteri.
I criteri della giurisprudenza
I parametri adoperati dalla giurisprudenza per valutare il reato e liquidarne il danno sono comunque molteplici e includono:
- il tipo di diffamazione (generica o specifica, falsa o vera, lesiva della continenza espressiva o della pertinenza, ecc.).
- l’intensità del dolo del diffamante (animus diffamandi): dolo generico, dolo eventuale, colpa.
- la diffusione del mezzo di comunicazione utilizzato.
- la notorietà del diffamante e del diffamato.
- la frequenza delle condotte diffamatorie.
- il risalto dato alle affermazioni diffamatorie.
- la risonanza mediatica suscitata.
- la sofferenza psichica e il turbamento dell’animo dell’offeso.
- il tipo e la rilevanza delle conseguenze dannose prodotte.
- la riconoscibilità del diffamato nel contesto delle dichiarazioni offensive.
- eventuali condotte riparatorie o rettifiche successive.
- il tempo trascorso tra il fatto e il processo
I livelli di gravità…
Su queste basi talvolta si evidenziano cinque livelli di gravità della diffamazione: tenue, modesta, media, elevata ed eccezionale. Questi livelli indicano la gravità complessiva della diffamazione risultante dai parametri e corrispondono grosso modo ad una fascia quantitativa di risarcimento. A partire dai Criteri orientativi pubblicati nel 2018 dall’Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano si può ricavare il seguente schema:
Gravità: Tenue.
Caratteristiche (orientative): Assente notorietà del diffamante. Tenuità dell’offesa. Limitata diffusione della notizia. Assente risonanza mediatica. Bassa intensità dell’elemento soggettivo. Intervento riparatorio/rettifica del convenuto.
Risarcimento: Da €1.000 a €10.000.
Gravità: Modesta.
Caratteristiche (orientative): Modesta notorietà del diffamante. Limitata diffusione del mezzo diffamatorio. Modesta/assente risonanza mediatica. Modesta intensità dell’elemento soggettivo.
Risarcimento: Da €11.000 a €20.000.
Gravità: Media.
Caratteristiche (orientative): Media notorietà del diffamante. Gravità delle offese attribuite al diffamato (sia sul piano personale che professionale). Media/significativa diffusione del mezzo diffamatorio. Natura eventuale del dolo.
Risarcimento: Da €21.000 a €30.000.
Gravità: Elevata.
Caratteristiche (orientative): Elevata notorietà del diffamante. Uno o più episodi diffamatori di ampia diffusione. Notevole gravità del discredito e eventuale rilevanza penale/disciplinare dei fatti attribuiti al diffamato. Elevato pregiudizio al diffamato. Risonanza mediatica della diffamazione. Elevata intensità dell’elemento soggettivo.
Risarcimento: Da €31.000 a €50.000.
Gravità: Eccezionale. (Caratteristiche non specificate).
Risarcimento: Più di €50.000.
In ogni caso, nella pratica è difficile farsi un’idea precisa dell’entità del risarcimento per danni da diffamazione. Le differenze non dipendono solo dalle concrete modalità del singolo fatto ma anche dagli orientamenti dei diversi Tribunali, dalle categorie di persone diffamate, ecc.
A titolo puramente indicativo, si può affermare che il danno liquidato per un fatto di diffamazione a mezzo stampa di media gravità è di € 20.000,00 circa. Secondo un rapporto dell’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano, che ha esaminato 89 sentenze relative agli anni 2014-2017 emanate dal Tribunale di Milano, di Roma e di altri Tribunali, l’importo medio liquidato per diffamazione a mezzo stampa è stato pari a € 26.290,00. Tuttavia, vi sono differenze tra le medie dei diversi tribunali. Secondo l’Osservatorio di Roma, il risarcimento medio liquidato dalla Prima sezione del Tribunale di Roma è più basso (circa € 15.000,00).
Riparazione pecuniaria per diffamazione a mezzo stampa
La legge sulla stampa (L. 47/1948) all’art. 12 riconosce anche la possibilità di ottenere una ulteriore riparazione pecuniaria in ragione dell’offesa alla reputazione cagionata dalla pubblicazione stampata, oltre al risarcimento del danno. L’articolo 12 infatti dispone che:
«Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa può chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 185 del Codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell’offesa ed alla diffusione dello stampato.»
Secondo l’Osservatorio di Roma, in un “Documento sul danno alla persona”, la riparazione pecuniaria viene generalmente calcolata – da parte del Tribunale di Roma – in una percentuale che va dal 25% al 50% del danno liquidato.
Pubblicazione della sentenza
L’art. 186 del Codice penale riguarda la “Riparazione del danno mediante pubblicazione della sentenza di condanna“. Esso dispone che:
«[…] ogni reato obbliga il colpevole alla pubblicazione, a sue spese, della sentenza di condanna, qualora la pubblicazione costituisca un mezzo per riparare il danno non patrimoniale cagionato dal reato.»
Chi risponde dei danni da diffamazione?
L’art. 185 del Codice penale dispone che risponde dei danni cagionati dal reato «il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui».
In ambito civile, l’obbligo di risarcire il danno è anzitutto a carico di chi ha commesso il fatto illecito (art. 2043 c.c.). I genitori sono responsabili del danno causato dai figli minorenni che abitano con essi, salvo che provino “di non avere potuto impedire il fatto” (art. 2048). Così pure il tutore ha responsabilità relativa alle persone soggette alla tutela. I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili per i danni da fatto illecito “dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza”.
L’art. 2049 del Codice civile prevede la responsabilità dei padroni e dei committenti “per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”.
Si aggiunga che, se il fatto dannoso o il reato è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido a risarcire il danno (artt. 2055 c.c., 187 c.p.).
Responsabilità nella diffamazione a mezzo stampa
Nell’ipotesi di diffamazione a mezzo stampa, la responsabilità penale riguarda anche il direttore o vice-direttore responsabile del periodico, l’editore e lo stampatore (art. 596-bis c.p.). Nel caso della stampa periodica, il direttore o il vice-direttore responsabile – fuori dai casi di concorso con l’autore del reato – è punito per aver omesso colposamente di controllare il contenuto del periodico, se col mezzo della pubblicazione viene commesso un reato (art. 57 c.p.). Nel caso della stampa non periodica, il medesimo principio si applica «all’editore, se l’autore della pubblicazione è ignoto o non imputabile, ovvero allo stampatore, se l’editore non è indicato o non è imputabile» (art. 57-bis c.p.)
Ai soli fini della responsabilità civile, l’art. 11 della legge sulla stampa (L. 47/1948) prevede che anche il proprietario della pubblicazione e l’editore sono responsabili in solido tra loro e con gli autori del reato, per i reati commessi a mezzo stampa.
I danni da diffamazione: come chiedere il risarcimento?
Il diritto al risarcimento del danno può essere fatto valere, indifferentemente, nel giudizio penale oppure davanti al giudice civile. Tuttavia, se l’offeso propone l’azione davanti al giudice civile dopo essersi costituito parte civile nel processo penale, oppure dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale definitiva.
Può anche darsi il caso inverso: dal processo civile a quello penale. L’azione civile si può infatti trasferire nel giudizio penale (almeno fino a che non sia pronunciata sentenza civile nel merito). In questa ipotesi il trasferimento equivale alla rinuncia agli atti del processo civile (art. 75 c.p.p.). Generalmente però, vige il principio dell’autonomia di ciascun tipo di processo rispetto all’altro.
Richiesta di risarcimento nel processo penale
Il procedimento penale può essere avviato con una denuncia-querela, affinché il colpevole riceva la giusta punizione. La richiesta di risarcimento del danno da diffamazione potrà anche essere proposta nell’ambito del processo penale. In questo caso la persona offesa dovrà costituirsi “parte civile” nel giudizio teso a stabilire la responsabilità penale dell’imputato.
Alla fine del processo, il giudice penale – pronunciando condanna – potrebbe non liquidare il risarcimento dei danni, rimettendo le parti a un ulteriore processo civile che stabilisca la quantità del risarcimento. Infatti, l’articolo 539 del Codice di procedura penale prevede che «Il giudice, se le prove acquisite non consentono la liquidazione del danno, pronuncia condanna generica e rimette le parti davanti al giudice civile». Inoltre, qualora il giudice penale condanni l’imputato, oltre che a scontare la pena, anche al risarcimento del danno, questa condanna potrebbe non essere esecutiva fino alla sentenza definitiva sulla responsabilità penale. Potrebbe quindi capitare di dover attendere la conclusione di tutti i gradi di giudizio.
Tuttavia, la parte civile può chiedere una “provvisionale” immediatamente esecutiva, “nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova”. Inoltre, su richiesta della parte civile, la condanna al risarcimento del danno può essere dichiarata provvisoriamente esecutiva “quando ricorrono giustificati motivi” (art. 540 c.p.p.).
La condanna per il reato di diffamazione commesso su un periodico comporta anche – secondo l’articolo 9 della L. 47/1948 – la pubblicazione della sentenza nello stesso periodico.
Richiesta di risarcimento nel processo civile
Un’altra strada che si può percorrere, diversa dal processo penale, è di citare il responsabile delle dichiarazioni diffamatorie davanti al giudice civile.
Nel processo civile, la parte attrice può chiedere il risarcimento per i danni derivanti da un fatto illecito, secondo la disposizione di cui all’articolo 2043 del codice civile.
In questo modo la persona offesa potrebbe ottenere il risarcimento del danno cagionato alla sua reputazione. Qui non si tratta di chiedere che venga affermata la responsabilità penale del colpevole per un reato, ma di condannare il colpevole in sede civile ad un risarcimento pecuniario per il danno causato. Davanti al giudice civile, bisognerà dimostrare che sussiste effettivamente un danno ingiusto alla reputazione e che questo danno è stato causato colpevolmente (o dolosamente) dall’offensore.
Il giudice civile – se ritiene fondata la domanda – potrà così condannare il responsabile a versare alla persona offesa (parte attrice) una somma determinata equitativamente (salvo danni patrimoniali precisamente quantificabili). Accoglierà eventualmente anche la quantificazione del danno prospettata dalla parte attrice.
Come provare i danni da diffamazione?
Per ottenere il risarcimento bisogna poter provare il danno da diffamazione. Questo presuppone che si debba provare prima il fatto della diffamazione (reato/fatto illecito) e poi che all’offesa della reputazione ne è conseguito un danno patrimoniale o non patrimoniale.
Per il primo punto invitiamo a leggere il nostro articolo: Le prove della diffamazione.
Si tenga in considerazione che, in ambito penale, la prova del reato di diffamazione presuppone che si mostri il dolo (almeno eventuale) del colpevole (ad esempio, il giornalista sapeva – oppure, dopo una ricerca non diligente, ha accettato il rischio – che la notizia pubblicata fosse falsa o comunque lesiva della reputazione). Nel civile, bisogna mostrare che la lesione alla reputazione è avvenuta almeno con colpa. (Ad esempio, il giornalista pensava che la notizia diffamatoria fosse vera e non denigratoria ma non aveva svolto un lavoro di ricerca diligente).
Per quanto riguarda la prova dei danni da diffamazione, dipenderà sia dalla tipologia del danno sia dalle sue concrete modalità. I mezzi di prova sono generalmente quelli tipici, come la testimonianza o i documenti. Ad esempio, si potrebbero produrre documenti che mostrano il danno patrimoniale nella forma di un maggiore esborso reso necessario dalle dichiarazioni diffamatorie.
Specialmente nell’ipotesi del danno non patrimoniale, si può ricorrere alla prova per presunzioni. È chiaro che sarebbe di per sé difficile fornire una prova rigorosa della livello di sofferenza soggettiva che caratterizza il danno morale. Pertanto, si potrà provare in primo luogo l’esistenza di un fatto (diffamatorio) del danno e, in secondo luogo, che questo fatto è “idoneo” a generare una sofferenza più o meno intensa, alla luce di massime di esperienza o comunque in via presuntiva. Si potrebbero anche portare prove (testimoni, ecc.) dei segni esterni dei pregiudizi non patrimoniali, come esternazioni di ansia, depressione, isolamento, impatto su relazioni interpersonali, ecc.
Prescrizione del diritto al risarcimento dei danni da diffamazione
Normalmente, il diritto al risarcimento del danno che deriva da un fatto illecito si prescrive in cinque anni. Tuttavia, se il fatto è un reato che si prescrive dopo un termine più lungo, allora questo termine si applica non soltanto in ambito penale ma anche all’azione civile di risarcimento (art. 2947 c.c.). I delitti (tra i quali la diffamazione) hanno un termine di prescrizione non minore di sei anni.
Avv. Alessandro Fiore, avvocato a Roma.
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